lunedì 11 aprile 2011

Emilio Solfrizzi racconta Piero Cicala

Un giorno mi ha chiamato il mio agente Gianni Antonangeli per dirmi di raggiungerlo in studio perché voleva farmi incontrare una persona che mi sarebbe piaciuta tanto. Quando sono arrivato, insieme a lui ad aspettarmi c’era Eugenio Cappuccio: vestito di nero, barba incolta, occhi neri e sguardo intelligente e aperto. Avevo molto amato i suoi film precedenti, Il caricatore, Volevo solo dormirle addosso e Uno su due; Eugenio era uno dei registi con cui mi sarebbe piaciuto lavorare da sempre. Quando mi sono seduto mi sono subito augurato di piacergli, che le cose che aveva da dirmi mi piacessero, e che il nostro fosse un incontro bello e costruttivo. Mi ha raccontato un’idea per un film da perfezionare e approfondire, ma il personaggio di Piero Cicala - un ex cantante dimenticato da tutti subito dopo aver avuto trent’anni prima un enorme successo con un solo disco - era già molto affascinante: un protagonista a tutto tondo, uno di quelli che un attore amerebbbe incontrare nella sua carriera.
Tra me ed Eugenio è nata una vera e profonda collaborazione creativa: molte idee, passaggi di copione ed evoluzioni della sceneggiatura sono stati limati da noi due insieme, oltre che ovviamente che dall’ottimo Piersanti; c’è stato un vero confronto, a volte anche aspro e teso, ma sempre sincero, finalizzato per entrambi a proporre il meglio per il film. Siamo due tipi sanguigni con matrici comuni, ma abbiamo subito maturato e conservato grande stima, oltre che un grande affetto reciproco.


Piero Cicala è un personaggio straordinario, con molti vuoti ma non vuoto. Un uomo che “manca” di qualcosa, con molte domande senza risposta e con un profondo senso di inadeguatezza rispetto alla vita. Mi interessava l’idea sorprendente di poter ri-trovare se stessi anche a 60 anni; abbiamo lavorato alla costruzione di un personaggio che doveva rappresentare anche fisicamente il senso del fallimento, portandone su di sé tutti i segni.

 Piero Cicala (Emilio Solfrizzi) con il cuoco Amed (Salvatore Marino) e il pizzaiolo Vincenzo (Gaetano D'Amore)

L'incontro con Belén è stato normalissimo. Credo che Belén abbia interpretato questo lavoro con lo spirito giusto. Aveva una gran voglia di fare bene e si è affidata completamente ad Eugenio permettendogli di lavorare su di lei e sulla recitazione senza rinunciare però a se stessa: ha infatti contribuito attivamente alla costruzione del suo personaggio, non solo scegliendosi il nome beneaugurante di Talita, ma accettando anche di modificare il suo look con una parrucca di capelli molto corti di un colore diverso dal suo (che ne lascia comunque intatto il fascino). Mi parlavano di lei come di una ragazza intelligente e sensibile ed ero certo che si sarebbe messa al servizio del film. Eugenio poi è riuscito a “servirla” al meglio: nel nostro film non c’è Belén, ma Talita.
Anche con gli altri attori mi sono trovato benissimo! Iaia Forte ha costruito molto bene il suo divertente personaggio dell’ex moglie volutamente “sopra le righe”, che ha rinunciato a tutto per stare vicino al suo uomo: è riuscita in pochi giorni a rendere chiarissimi gli stati d’animo di questa donna e i molti “sottotesti” della sceneggiatura. Davvero un’attrice fantastica. Pur essendo pugliese, non avevo mai lavorato con Totò Onnis e Fabrizio Buompastore, pugliesi anch’essi! Siamo stati complici da subito, il che ci ha consentito di alleggerire le fatiche del set con grandi risate oltre che di rivendicare il nostro “orgoglio pugliese” in una troupe di “forestieri”. Siamo amici.

lo stupore di Piero Cicala  (Emilio Solfrizzi)  dopo il cambio di look  per mano del suo amico barbiere (Totò Onnis) &co.

Il nostro produttore Antonio Avati era sempre sul set. Proprio sempre sempre! Ha seguito la lavorazione nei minimi dettagli, credo anche per un fatto affettivo essendo partita da lui l’idea primaria del film.
Mi è sembrato da subito una persona sincera e chiara: ha ammesso di conoscermi poco come attore, ma che invece la sua famiglia è appassionata sostenitrice della serie di Raiuno di cui sono protagonista da tempo, Tutti pazzi per amore, e ogni tanto si scusava di non conoscerne lui i dettagli. Sono molto fiero del rapporto di simpatia e di stima che si è creato tra di noi sin dall’inizio, cresciuto poi man mano che andava avanti la lavorazione.
Vorrei segnalare anche che questo film si è giovato dell’enorme capacità delle nostre maestranze riunite in una troupe tecnica capeggiata dal direttore della fotografia Gian Filippo Corticelli.
Io soprattutto sono molto riconoscente ai reparti di trucco e parrucco che nel film giocano un ruolo di fondamentale importanza: mi hanno consentito di fare al meglio il mio lavoro senza dovermi preoccupare di null’altro. Ho potuto giovarmi dell’incredibile abilità e pazienza di Luigi Rocchetti e di Max Duranti che hanno messo al servizio mio e a del film il loro talento assoluto, invidiato e riconosciuto in tutto il mondo.

Piero Cicala (Emilio Solfrizzi) fa le prove prima dell'ospitata in tv alla trasmissione di Carlo Conti

sabato 9 aprile 2011

Belén Rodríguez racconta Talita Cortès

La scorsa primavera mi era arrivata una proposta dalla DueA e sono andata ad incontrare i produttori Antonio e Pupi Avati, insieme al regista Eugenio Cappuccio. Ho capito subito che si trattava di un’occasione insolita ed interessante: essere coinvolta in un film di qualità e di prestigio rappresenta una conferma per il tuo lavoro e un incentivo ad andare avanti.
Non mi sento ancora un’attrice: capisco che la mia possa essere considerata una scelta azzardata, anche perché come donna sono sempre al centro della "sparatoria" mediatica, ma è un’opportunità che ho colto molto volentieri, così come è avvenuto con la proposta di presentare il Festival di Sanremo.
Ovviamente so che per recitare sono importanti le scuole, e che è giusto prepararsi in modo adeguato. Ma credo anche nella pratica “sul campo”: sono sempre stata un po’ una “spugna” che assimila e incorpora facilmente tutto, cercando di restituirlo al meglio. In questa occasione, è stato determinante non solo studiare bene la parte, e cercare di imparare dai tanti bravissimi attori che recitavano dialoghi lunghi e serrati, ma, soprattutto, fidarmi completamente delle indicazioni e della grande umanità di Eugenio Cappuccio - un regista molto esigente e sensibile, e un ottimo direttore di attori; e dei consigli del mio partner Emilio Solfrizzi - una persona meravigliosa, sia come “uomo di famiglia” pieno di valori, sia come professionista rigoroso in grado di dare tutto sul set.
La "mia" Talita Cortès è una modella superstar sudamericana di enorme successo mediatico, un personaggio-simbolo dello star system volutamente esasperato, sopra le righe: è rimasta un po’ una bambina viziata e capricciosa, ma non credo che rappresenti un modello da seguire, per gran parte della nostra storia.
L’essenza del film sta nella sensazione di essere incompleti, e se Talita a un certo punto si innamora di una persona improbabile, lo fa perché vuole trovare quello che le manca - ad esempio la possiblità di "sbracare"; cosa che a lei, costretta ad apparire sempre perfetta, non è concesso.
Tutti noi in fondo siamo alla ricerca di qualcosa che ci sorprenda, e il titolo del film Se sei così, ti dico sì non descrive uno stato fisico ma interiore: vuol dire che se fai vedere l’anima, alla fine il sì arriva deciso. 




C’è stata una grandissima trasformazione per interpretare Talita, sia interiore che esteriore. Arrivando sul set, ogni mattina entravo nel mondo di Talita, trasformandomi completamente, a partire dall’aspetto fisico - indossando la sua parrucca con i capelli corti a caschetto e scurissimi, e apparendo con un tipo di trucco più marcato: quando mi sono rivista alla prima scena sono rimasta sconvolta!
Per lasciarmi più libera, Eugenio mi ha concesso anche di improvvisare al di là del copione, lasciandomi mescolare all’italiano alcune parole di spagnolo perché erano giustificate per quel tipo di personaggio di ragazza sudamericana giramondo, cui verrebbe spontaneo esprimersi nella sua lingua madre ovunque si trovi.


Col tempo mi affascinerebbe anche misurarmi con qualche ruolo drammatico, ma sono certa che si tratterebbe di un impegno più difficile. Penso che per ora la leggerezza della comicità mi sia più congeniale e naturale.
Non credo, però, che nell’immediato futuro potrò dedicare al cinema l’attenzione e la dedizione necessari, perché non posso e non voglio sottrarre tempo ai miei impegni televisivi: la tv mi piace moltissimo, e vorrei cercare di farla al meglio, riuscendo a trasmettere gioia e buonumore al pubblico a casa, come nei grandi varietà del passato così ben congengati e pieni di talento ad ogni livello. 

Belén in una scena con Emilio Solfrizzi

giovedì 7 aprile 2011

Eugenio Cappuccio: perché ho scelto di fare questo film e perché ho scelto Emilio Solfrizzi e Belen Rodriguez


Siamo partiti da un soggetto di Antonio Avati, che è stato affidato per un primo trattamento allo scrittore Claudio Piersanti (penna che amavo molto già da prima), e prima che intervenissi anch’io alla scrittura della sceneggiatura: in fondo mi è stata offerta nuovamente l’opportunità di confermare l’attenzione costante - che ho avuto anche negli altri miei precedenti film (da Il caricatore in poi, anche se con toni, colori e argomenti diversi) - verso il racconto di un protagonista messo alle strette dalla vita.
È la storia di un uomo messo ad un banco di prova: ho sempre descritto nei miei film uomini al bivio, persone interessanti da raccontare, con i dubbi, i conflitti, gli incontri e gli amori, e - perché no - anche il riso, l'ironia.
Questo film è raccontato in chiave di commedia: sottolinea l’eros diffuso, la paura di sentirsi inadeguati, la voglia di ritentare nuove occasioni; consente considerazioni più o meno serie sul successo e le sue molteplici facce; dà l’opportunità di raccontare l’Italia di oggi, e non solo, analizzando un tema centrale come quello dell'apparire, e poi cosa significa passare attraverso la tv… un sacco di roba, insomma!
Una cosa spero emerga dal confronto con Piero Cicala, il protagonista: il valore della dignità di un piccolo grande uomo che si fa coinvolgere e trascinare, che riaccetta una sfida, e che, nonostante le sue debolezze, non vende l’anima.
La nostra ambizione è stata anche di mettere a confronto due modi di vivere il successo: uno bruciato troppo in fretta, Piero Cicala, e un altro odierno, globale, gossipato e amministrato come una azienda, Talita Cortès (Belén), che nel corso della vicenda diventa rilevante fil rouge del film, come la cantilena legata al suo “lato b”. Il confronto tra i due, condito dalla differenza di età tra il cantante e la superdiva mediatica, è fonte di frequente divertimento e cattiverie!

sul set, il regista Eugenio Cappuccio con Luigi Andrei, operatore alla macchina

Se sei così, ti dico sì è per certi versi la storia di una “assurda mascherata”, resa necessaria dalla società della comunicazione, dello spettacolo: per ripresentarsi sulle scene ove il Moloch televisivo lo pretende, il nostro protagonista sente suo malgrado il bisogno di riassomigliare a Piero Cicala "il cantante" e non a Piero Cicala "'u camarir" (il cameriere); e così accetta di ricostruire la sua vecchia, patetica, immagine del passato; il suo vecchio amico chitarrista, ora barbiere (Totò Onnis), compie un lavoro da mago del trucco, riproponendocelo uguale nell’aspetto a 30 anni prima.
La maschera che Cicala accetta di indossare non è altro che un passaggio verso un ulteriore stato, quello di un uomo che nonostante tutto, nonostante la vita non sia stata con lui particolarmente generosa, né lui con lei; liberandosi nel finale da ridicoli fardelli, riesce a ritrovare un briciolo di voglia di esistere, e dire la sua, a riscattarsi dall’apaticità che viene dalla sconfitta, cantando la sua canzone preferita. Si rende conto che non serve a nulla piangersi addosso, e che è importante, per il tempo che resta, coltivare obiettivi creativi e vitali, morali forse; che l'esperienza è un valore, come i fallimenti superati e compresi. Poi ci pensa il destino a rioffrirti l’occasione: ed è questo il senso della sua avventura con Talita Cortès in America; gli è servita a vincere le sue paure. Ed anche Talita, per certi versi invaghita e stimolata da questo strano “marziano”, ci racconterà con rinnovata sincerità cosa significa essere star oggi.


sul set, Eugenio Cappuccio osserva divertito una scena, dietro Belén



PERCHÉ HO SCELTO BELEN RODRIGUEZ
“Sono qui per imparare”, mi ha detto quando ci siamo visti; intimamente pensai “cosa?!?”. mi sembrava così preparata nella vita, che era la cifra di un’ottima partenza… abbiamo parlato a lungo di noi, ci siamo incuriositi a vicenda, e scoperto che i nostri padri si chiamano tutti e due Gustavo...
Belén è evidentemente un fenomeno classico della società dello spettacolo contemporanea, in cui prevale la cultura del corpo, all’apparenza necessaria: io l’ho trovata una persona intelligente che sa esattamente quello che sta vivendo; ed è soprattutto un’ottima amministratrice del suo successo.
Ha dato luce alla nostra storia perché è una donna luminosa, disponibile, sincera, aperta e attenta: all’inizio erano tutti un po’ preoccupati, perché avrebbe dovuto affrontare una storia piuttosto articolata ed entrare in rapporto con un mattatore come Emilio Solfrizzi; ma lei, invece, è stata ampiamente all’altezza della situazione, si è affidata alla regia e ci ha messo anche del suo.

 il regista Eugenio Cappuccio prepara una scena con Belén


PERCHÉ HO SCELTO EMILIO SOLFRIZZI
Chi altri? Ho sempre avuto l’impressione di essere stati al liceo insieme, in viaggio insieme, a fare danni insieme; di averlo, insomma, non incontrato per la prima volta, semmai ritrovato… E poi credo sia uno degli attori italiani più versatili e simpatici in circolazione: per il mio film si è rivelato unico e insostituibile. Abbiamo costruito insieme molti snodi importanti del film, Emilio tiene al buon risultato in maniera maniacale, io sono come lui e siccome siamo così ci siamo detti sì…
E poi è pugliese: poche cose mi fanno ridere e affascinano come il suo dialetto, la gestualità, la filosofia di quella gente, la bellezza della Puglia… che per certi versi è una California italiana.
Quando è in scena, Emilio ha un ‘piano d'ascolto’ fantastico, non ‘fa le facce’, è una grande maschera cinematografica, potrebbe essere Pulcinella o Pantalone; mi fa pensare a Paganini, non so perché. 


Eugenio Cappuccio prepara una scena di massa

mercoledì 6 aprile 2011

Antonio Avati racconta com'è nata l'idea del film

Antonio Avati con Claudio Trionfera alla conferenza stampa sul set
L’idea del suo soggetto che ha dato l’impulso a questo film mi è venuta in mente guardando il programma-revival di RaiUno I migliori anni, presentato da Carlo Conti: ho immaginato che possa realmente accadere che un ex cantante in disarmo, stempiato, con la pancia e i capelli finti, “ripescato” occasionalmente in tv per un giorno in una trasmissione di vecchie glorie, aiuti a salvarsi da un’aggressione mediatica nel suo albergo la superstar mediatica più bella e desiderata del momento che, ingenua e ignara del nostro show business, lo scambia per l’artista italiano più in auge ai nostri giorni... Il messaggio è piuttosto semplice nella sua filosofia e nella sua attualità: non è sufficiente, come i reality da tempo intendono far credere, apparire o ritornare in tv perché la vita intorno a te venga sconvolta portandoti dalla più profonda polvere al più imprevedibile altare…
Ho scritto un soggetto di 50 pagine insieme a Claudio Piersanti, il cui agente Gianni Antonangeli ci ha aiutato sia per il cast sia per la regia, suggerendoci Eugenio Cappuccio, che poi abbiamo incontrato dopo aver visto il suo recente Uno su due con Fabio Volo, convincendoci subito che si trattava della scelta giusta.
Il suo coraggio è stato l'accettare un’idea e un soggetto non suoi - anche se poi ha partecipato attivamente alla sceneggiatura - e di mettersi in gioco con una commedia, andando oltre le sue opere piuttosto autoriali e con temi forti in campo.
Credo sia stato importante aver pensato a una situazione molto lineare da un punto di vista cinematografico, attraverso una storia elementare che capirebbero anche i miei figli di 10 e 12 anni, e che può somigliare ad una tipica favola del cinema americano nei cui personaggi e situazioni ci ritroviamo tutti perché proposti in maniera credibile.
In questo caso, però, lo stile della regia e dell’interpretazione sono tipicamente italiani: la piccola novità nella nostra filmografia è la scommessa di dar vita ad un film che non somigli ad altre commedie di successo del momento, ma che cerca di essere comprensibile ed accattivante, senza eccessi di letture sociologiche e intelligente, e senza avere l’ambizione di essere particolarmente raffinato o colto. 
Per il ruolo della protagonista pensavamo a una superstar a tutto tondo alla maniera di Paris Hilton: ma rendendoci conto che non sarebbe stato semplice coinvolgere in un progetto italiano un’attrice americana di fama internazionale, a causa del nostro budget medio-basso, abbiamo immaginato nel copione un’ispanica che abita negli Stati Uniti.
il produttore Antonio Avati
Quando mio fratello Pupi ci ha suggerito l’ipotesi di Belén, è piaciuta a tutti: in più, proprio lei ci ha convinto subito una volta che l’abbiamo conosciuta, presentandosi come una ragazza intimidita, rispettosa, quasi a disagio rispetto al tipo di cinema d’autore che le veniva proposto per la prima volta. Questa modestia, e questo suo modo di essere così attento e rispettoso dei nostri suggerimenti, ci ha conquistati.
Credo sia stata molto gratificata da questa esperienza, le abbiamo chiesto di dar vita ad un suo clone, ad una sorta di sua gemella leggermente al negativo, anche se nel film il personaggio ha degli aspetti molto umani: la Talita Cortès che interpreta le somiglia, e lei lo ammette con molta autorionia.
Per quanto riguarda Emilio Solfrizzi, è stato un incontro più che positivo, direi sorprendente: non lo conoscevo bene; sapevo che era stato recentemente l’interprete in tv di Love Bugs e di una serie di successo come Tutti pazzi per amore (era l’idolo di mia moglie e di mia suocera…), ma non immaginavo che fosse un attore così fine, misurato, sensibile e “cinematografico”.
È un animale da set, un maestro finissimo di reazioni, controscene, sguardi, sfumature: Emilio non è bravo solo quando recita le sue battute davanti la cinepresa, ma lo è ancora di più quando reagisce fuori scena alle battute di qualcun altro. Credo che in questa occasione abbia acquistato diversi meriti sul campo, grazie ad uno studio e un lavoro su se stesso esemplari, e a 360 gradi. Sono certo che sarà considerato presto uno dei nostri migliori attori in assoluto: è ancora tutto da scoprire.