lunedì 11 aprile 2011

Emilio Solfrizzi racconta Piero Cicala

Un giorno mi ha chiamato il mio agente Gianni Antonangeli per dirmi di raggiungerlo in studio perché voleva farmi incontrare una persona che mi sarebbe piaciuta tanto. Quando sono arrivato, insieme a lui ad aspettarmi c’era Eugenio Cappuccio: vestito di nero, barba incolta, occhi neri e sguardo intelligente e aperto. Avevo molto amato i suoi film precedenti, Il caricatore, Volevo solo dormirle addosso e Uno su due; Eugenio era uno dei registi con cui mi sarebbe piaciuto lavorare da sempre. Quando mi sono seduto mi sono subito augurato di piacergli, che le cose che aveva da dirmi mi piacessero, e che il nostro fosse un incontro bello e costruttivo. Mi ha raccontato un’idea per un film da perfezionare e approfondire, ma il personaggio di Piero Cicala - un ex cantante dimenticato da tutti subito dopo aver avuto trent’anni prima un enorme successo con un solo disco - era già molto affascinante: un protagonista a tutto tondo, uno di quelli che un attore amerebbbe incontrare nella sua carriera.
Tra me ed Eugenio è nata una vera e profonda collaborazione creativa: molte idee, passaggi di copione ed evoluzioni della sceneggiatura sono stati limati da noi due insieme, oltre che ovviamente che dall’ottimo Piersanti; c’è stato un vero confronto, a volte anche aspro e teso, ma sempre sincero, finalizzato per entrambi a proporre il meglio per il film. Siamo due tipi sanguigni con matrici comuni, ma abbiamo subito maturato e conservato grande stima, oltre che un grande affetto reciproco.


Piero Cicala è un personaggio straordinario, con molti vuoti ma non vuoto. Un uomo che “manca” di qualcosa, con molte domande senza risposta e con un profondo senso di inadeguatezza rispetto alla vita. Mi interessava l’idea sorprendente di poter ri-trovare se stessi anche a 60 anni; abbiamo lavorato alla costruzione di un personaggio che doveva rappresentare anche fisicamente il senso del fallimento, portandone su di sé tutti i segni.

 Piero Cicala (Emilio Solfrizzi) con il cuoco Amed (Salvatore Marino) e il pizzaiolo Vincenzo (Gaetano D'Amore)

L'incontro con Belén è stato normalissimo. Credo che Belén abbia interpretato questo lavoro con lo spirito giusto. Aveva una gran voglia di fare bene e si è affidata completamente ad Eugenio permettendogli di lavorare su di lei e sulla recitazione senza rinunciare però a se stessa: ha infatti contribuito attivamente alla costruzione del suo personaggio, non solo scegliendosi il nome beneaugurante di Talita, ma accettando anche di modificare il suo look con una parrucca di capelli molto corti di un colore diverso dal suo (che ne lascia comunque intatto il fascino). Mi parlavano di lei come di una ragazza intelligente e sensibile ed ero certo che si sarebbe messa al servizio del film. Eugenio poi è riuscito a “servirla” al meglio: nel nostro film non c’è Belén, ma Talita.
Anche con gli altri attori mi sono trovato benissimo! Iaia Forte ha costruito molto bene il suo divertente personaggio dell’ex moglie volutamente “sopra le righe”, che ha rinunciato a tutto per stare vicino al suo uomo: è riuscita in pochi giorni a rendere chiarissimi gli stati d’animo di questa donna e i molti “sottotesti” della sceneggiatura. Davvero un’attrice fantastica. Pur essendo pugliese, non avevo mai lavorato con Totò Onnis e Fabrizio Buompastore, pugliesi anch’essi! Siamo stati complici da subito, il che ci ha consentito di alleggerire le fatiche del set con grandi risate oltre che di rivendicare il nostro “orgoglio pugliese” in una troupe di “forestieri”. Siamo amici.

lo stupore di Piero Cicala  (Emilio Solfrizzi)  dopo il cambio di look  per mano del suo amico barbiere (Totò Onnis) &co.

Il nostro produttore Antonio Avati era sempre sul set. Proprio sempre sempre! Ha seguito la lavorazione nei minimi dettagli, credo anche per un fatto affettivo essendo partita da lui l’idea primaria del film.
Mi è sembrato da subito una persona sincera e chiara: ha ammesso di conoscermi poco come attore, ma che invece la sua famiglia è appassionata sostenitrice della serie di Raiuno di cui sono protagonista da tempo, Tutti pazzi per amore, e ogni tanto si scusava di non conoscerne lui i dettagli. Sono molto fiero del rapporto di simpatia e di stima che si è creato tra di noi sin dall’inizio, cresciuto poi man mano che andava avanti la lavorazione.
Vorrei segnalare anche che questo film si è giovato dell’enorme capacità delle nostre maestranze riunite in una troupe tecnica capeggiata dal direttore della fotografia Gian Filippo Corticelli.
Io soprattutto sono molto riconoscente ai reparti di trucco e parrucco che nel film giocano un ruolo di fondamentale importanza: mi hanno consentito di fare al meglio il mio lavoro senza dovermi preoccupare di null’altro. Ho potuto giovarmi dell’incredibile abilità e pazienza di Luigi Rocchetti e di Max Duranti che hanno messo al servizio mio e a del film il loro talento assoluto, invidiato e riconosciuto in tutto il mondo.

Piero Cicala (Emilio Solfrizzi) fa le prove prima dell'ospitata in tv alla trasmissione di Carlo Conti

sabato 9 aprile 2011

Belén Rodríguez racconta Talita Cortès

La scorsa primavera mi era arrivata una proposta dalla DueA e sono andata ad incontrare i produttori Antonio e Pupi Avati, insieme al regista Eugenio Cappuccio. Ho capito subito che si trattava di un’occasione insolita ed interessante: essere coinvolta in un film di qualità e di prestigio rappresenta una conferma per il tuo lavoro e un incentivo ad andare avanti.
Non mi sento ancora un’attrice: capisco che la mia possa essere considerata una scelta azzardata, anche perché come donna sono sempre al centro della "sparatoria" mediatica, ma è un’opportunità che ho colto molto volentieri, così come è avvenuto con la proposta di presentare il Festival di Sanremo.
Ovviamente so che per recitare sono importanti le scuole, e che è giusto prepararsi in modo adeguato. Ma credo anche nella pratica “sul campo”: sono sempre stata un po’ una “spugna” che assimila e incorpora facilmente tutto, cercando di restituirlo al meglio. In questa occasione, è stato determinante non solo studiare bene la parte, e cercare di imparare dai tanti bravissimi attori che recitavano dialoghi lunghi e serrati, ma, soprattutto, fidarmi completamente delle indicazioni e della grande umanità di Eugenio Cappuccio - un regista molto esigente e sensibile, e un ottimo direttore di attori; e dei consigli del mio partner Emilio Solfrizzi - una persona meravigliosa, sia come “uomo di famiglia” pieno di valori, sia come professionista rigoroso in grado di dare tutto sul set.
La "mia" Talita Cortès è una modella superstar sudamericana di enorme successo mediatico, un personaggio-simbolo dello star system volutamente esasperato, sopra le righe: è rimasta un po’ una bambina viziata e capricciosa, ma non credo che rappresenti un modello da seguire, per gran parte della nostra storia.
L’essenza del film sta nella sensazione di essere incompleti, e se Talita a un certo punto si innamora di una persona improbabile, lo fa perché vuole trovare quello che le manca - ad esempio la possiblità di "sbracare"; cosa che a lei, costretta ad apparire sempre perfetta, non è concesso.
Tutti noi in fondo siamo alla ricerca di qualcosa che ci sorprenda, e il titolo del film Se sei così, ti dico sì non descrive uno stato fisico ma interiore: vuol dire che se fai vedere l’anima, alla fine il sì arriva deciso. 




C’è stata una grandissima trasformazione per interpretare Talita, sia interiore che esteriore. Arrivando sul set, ogni mattina entravo nel mondo di Talita, trasformandomi completamente, a partire dall’aspetto fisico - indossando la sua parrucca con i capelli corti a caschetto e scurissimi, e apparendo con un tipo di trucco più marcato: quando mi sono rivista alla prima scena sono rimasta sconvolta!
Per lasciarmi più libera, Eugenio mi ha concesso anche di improvvisare al di là del copione, lasciandomi mescolare all’italiano alcune parole di spagnolo perché erano giustificate per quel tipo di personaggio di ragazza sudamericana giramondo, cui verrebbe spontaneo esprimersi nella sua lingua madre ovunque si trovi.


Col tempo mi affascinerebbe anche misurarmi con qualche ruolo drammatico, ma sono certa che si tratterebbe di un impegno più difficile. Penso che per ora la leggerezza della comicità mi sia più congeniale e naturale.
Non credo, però, che nell’immediato futuro potrò dedicare al cinema l’attenzione e la dedizione necessari, perché non posso e non voglio sottrarre tempo ai miei impegni televisivi: la tv mi piace moltissimo, e vorrei cercare di farla al meglio, riuscendo a trasmettere gioia e buonumore al pubblico a casa, come nei grandi varietà del passato così ben congengati e pieni di talento ad ogni livello. 

Belén in una scena con Emilio Solfrizzi

giovedì 7 aprile 2011

Eugenio Cappuccio: perché ho scelto di fare questo film e perché ho scelto Emilio Solfrizzi e Belen Rodriguez


Siamo partiti da un soggetto di Antonio Avati, che è stato affidato per un primo trattamento allo scrittore Claudio Piersanti (penna che amavo molto già da prima), e prima che intervenissi anch’io alla scrittura della sceneggiatura: in fondo mi è stata offerta nuovamente l’opportunità di confermare l’attenzione costante - che ho avuto anche negli altri miei precedenti film (da Il caricatore in poi, anche se con toni, colori e argomenti diversi) - verso il racconto di un protagonista messo alle strette dalla vita.
È la storia di un uomo messo ad un banco di prova: ho sempre descritto nei miei film uomini al bivio, persone interessanti da raccontare, con i dubbi, i conflitti, gli incontri e gli amori, e - perché no - anche il riso, l'ironia.
Questo film è raccontato in chiave di commedia: sottolinea l’eros diffuso, la paura di sentirsi inadeguati, la voglia di ritentare nuove occasioni; consente considerazioni più o meno serie sul successo e le sue molteplici facce; dà l’opportunità di raccontare l’Italia di oggi, e non solo, analizzando un tema centrale come quello dell'apparire, e poi cosa significa passare attraverso la tv… un sacco di roba, insomma!
Una cosa spero emerga dal confronto con Piero Cicala, il protagonista: il valore della dignità di un piccolo grande uomo che si fa coinvolgere e trascinare, che riaccetta una sfida, e che, nonostante le sue debolezze, non vende l’anima.
La nostra ambizione è stata anche di mettere a confronto due modi di vivere il successo: uno bruciato troppo in fretta, Piero Cicala, e un altro odierno, globale, gossipato e amministrato come una azienda, Talita Cortès (Belén), che nel corso della vicenda diventa rilevante fil rouge del film, come la cantilena legata al suo “lato b”. Il confronto tra i due, condito dalla differenza di età tra il cantante e la superdiva mediatica, è fonte di frequente divertimento e cattiverie!

sul set, il regista Eugenio Cappuccio con Luigi Andrei, operatore alla macchina

Se sei così, ti dico sì è per certi versi la storia di una “assurda mascherata”, resa necessaria dalla società della comunicazione, dello spettacolo: per ripresentarsi sulle scene ove il Moloch televisivo lo pretende, il nostro protagonista sente suo malgrado il bisogno di riassomigliare a Piero Cicala "il cantante" e non a Piero Cicala "'u camarir" (il cameriere); e così accetta di ricostruire la sua vecchia, patetica, immagine del passato; il suo vecchio amico chitarrista, ora barbiere (Totò Onnis), compie un lavoro da mago del trucco, riproponendocelo uguale nell’aspetto a 30 anni prima.
La maschera che Cicala accetta di indossare non è altro che un passaggio verso un ulteriore stato, quello di un uomo che nonostante tutto, nonostante la vita non sia stata con lui particolarmente generosa, né lui con lei; liberandosi nel finale da ridicoli fardelli, riesce a ritrovare un briciolo di voglia di esistere, e dire la sua, a riscattarsi dall’apaticità che viene dalla sconfitta, cantando la sua canzone preferita. Si rende conto che non serve a nulla piangersi addosso, e che è importante, per il tempo che resta, coltivare obiettivi creativi e vitali, morali forse; che l'esperienza è un valore, come i fallimenti superati e compresi. Poi ci pensa il destino a rioffrirti l’occasione: ed è questo il senso della sua avventura con Talita Cortès in America; gli è servita a vincere le sue paure. Ed anche Talita, per certi versi invaghita e stimolata da questo strano “marziano”, ci racconterà con rinnovata sincerità cosa significa essere star oggi.


sul set, Eugenio Cappuccio osserva divertito una scena, dietro Belén



PERCHÉ HO SCELTO BELEN RODRIGUEZ
“Sono qui per imparare”, mi ha detto quando ci siamo visti; intimamente pensai “cosa?!?”. mi sembrava così preparata nella vita, che era la cifra di un’ottima partenza… abbiamo parlato a lungo di noi, ci siamo incuriositi a vicenda, e scoperto che i nostri padri si chiamano tutti e due Gustavo...
Belén è evidentemente un fenomeno classico della società dello spettacolo contemporanea, in cui prevale la cultura del corpo, all’apparenza necessaria: io l’ho trovata una persona intelligente che sa esattamente quello che sta vivendo; ed è soprattutto un’ottima amministratrice del suo successo.
Ha dato luce alla nostra storia perché è una donna luminosa, disponibile, sincera, aperta e attenta: all’inizio erano tutti un po’ preoccupati, perché avrebbe dovuto affrontare una storia piuttosto articolata ed entrare in rapporto con un mattatore come Emilio Solfrizzi; ma lei, invece, è stata ampiamente all’altezza della situazione, si è affidata alla regia e ci ha messo anche del suo.

 il regista Eugenio Cappuccio prepara una scena con Belén


PERCHÉ HO SCELTO EMILIO SOLFRIZZI
Chi altri? Ho sempre avuto l’impressione di essere stati al liceo insieme, in viaggio insieme, a fare danni insieme; di averlo, insomma, non incontrato per la prima volta, semmai ritrovato… E poi credo sia uno degli attori italiani più versatili e simpatici in circolazione: per il mio film si è rivelato unico e insostituibile. Abbiamo costruito insieme molti snodi importanti del film, Emilio tiene al buon risultato in maniera maniacale, io sono come lui e siccome siamo così ci siamo detti sì…
E poi è pugliese: poche cose mi fanno ridere e affascinano come il suo dialetto, la gestualità, la filosofia di quella gente, la bellezza della Puglia… che per certi versi è una California italiana.
Quando è in scena, Emilio ha un ‘piano d'ascolto’ fantastico, non ‘fa le facce’, è una grande maschera cinematografica, potrebbe essere Pulcinella o Pantalone; mi fa pensare a Paganini, non so perché. 


Eugenio Cappuccio prepara una scena di massa

mercoledì 6 aprile 2011

Antonio Avati racconta com'è nata l'idea del film

Antonio Avati con Claudio Trionfera alla conferenza stampa sul set
L’idea del suo soggetto che ha dato l’impulso a questo film mi è venuta in mente guardando il programma-revival di RaiUno I migliori anni, presentato da Carlo Conti: ho immaginato che possa realmente accadere che un ex cantante in disarmo, stempiato, con la pancia e i capelli finti, “ripescato” occasionalmente in tv per un giorno in una trasmissione di vecchie glorie, aiuti a salvarsi da un’aggressione mediatica nel suo albergo la superstar mediatica più bella e desiderata del momento che, ingenua e ignara del nostro show business, lo scambia per l’artista italiano più in auge ai nostri giorni... Il messaggio è piuttosto semplice nella sua filosofia e nella sua attualità: non è sufficiente, come i reality da tempo intendono far credere, apparire o ritornare in tv perché la vita intorno a te venga sconvolta portandoti dalla più profonda polvere al più imprevedibile altare…
Ho scritto un soggetto di 50 pagine insieme a Claudio Piersanti, il cui agente Gianni Antonangeli ci ha aiutato sia per il cast sia per la regia, suggerendoci Eugenio Cappuccio, che poi abbiamo incontrato dopo aver visto il suo recente Uno su due con Fabio Volo, convincendoci subito che si trattava della scelta giusta.
Il suo coraggio è stato l'accettare un’idea e un soggetto non suoi - anche se poi ha partecipato attivamente alla sceneggiatura - e di mettersi in gioco con una commedia, andando oltre le sue opere piuttosto autoriali e con temi forti in campo.
Credo sia stato importante aver pensato a una situazione molto lineare da un punto di vista cinematografico, attraverso una storia elementare che capirebbero anche i miei figli di 10 e 12 anni, e che può somigliare ad una tipica favola del cinema americano nei cui personaggi e situazioni ci ritroviamo tutti perché proposti in maniera credibile.
In questo caso, però, lo stile della regia e dell’interpretazione sono tipicamente italiani: la piccola novità nella nostra filmografia è la scommessa di dar vita ad un film che non somigli ad altre commedie di successo del momento, ma che cerca di essere comprensibile ed accattivante, senza eccessi di letture sociologiche e intelligente, e senza avere l’ambizione di essere particolarmente raffinato o colto. 
Per il ruolo della protagonista pensavamo a una superstar a tutto tondo alla maniera di Paris Hilton: ma rendendoci conto che non sarebbe stato semplice coinvolgere in un progetto italiano un’attrice americana di fama internazionale, a causa del nostro budget medio-basso, abbiamo immaginato nel copione un’ispanica che abita negli Stati Uniti.
il produttore Antonio Avati
Quando mio fratello Pupi ci ha suggerito l’ipotesi di Belén, è piaciuta a tutti: in più, proprio lei ci ha convinto subito una volta che l’abbiamo conosciuta, presentandosi come una ragazza intimidita, rispettosa, quasi a disagio rispetto al tipo di cinema d’autore che le veniva proposto per la prima volta. Questa modestia, e questo suo modo di essere così attento e rispettoso dei nostri suggerimenti, ci ha conquistati.
Credo sia stata molto gratificata da questa esperienza, le abbiamo chiesto di dar vita ad un suo clone, ad una sorta di sua gemella leggermente al negativo, anche se nel film il personaggio ha degli aspetti molto umani: la Talita Cortès che interpreta le somiglia, e lei lo ammette con molta autorionia.
Per quanto riguarda Emilio Solfrizzi, è stato un incontro più che positivo, direi sorprendente: non lo conoscevo bene; sapevo che era stato recentemente l’interprete in tv di Love Bugs e di una serie di successo come Tutti pazzi per amore (era l’idolo di mia moglie e di mia suocera…), ma non immaginavo che fosse un attore così fine, misurato, sensibile e “cinematografico”.
È un animale da set, un maestro finissimo di reazioni, controscene, sguardi, sfumature: Emilio non è bravo solo quando recita le sue battute davanti la cinepresa, ma lo è ancora di più quando reagisce fuori scena alle battute di qualcun altro. Credo che in questa occasione abbia acquistato diversi meriti sul campo, grazie ad uno studio e un lavoro su se stesso esemplari, e a 360 gradi. Sono certo che sarà considerato presto uno dei nostri migliori attori in assoluto: è ancora tutto da scoprire.

mercoledì 30 marzo 2011

Fabrizio Buompastore racconta l'Emissario e la sua esperienza sul set

Conosco Eugenio Cappuccio da dieci anni, avevo iniziato a collaborare con lui preparando L’attore, un suo film indipendente, poi interrotto e rinviato. Nel frattempo è arrivato questo nuovo progetto: ho superato un paio di provini e sono stato confermato nel ruolo dell’emissario di un agente di spettacolo che viene mandato in Puglia per rintracciare il protagonista - il cantante in disarmo Piero Cicala (Emilio Solfrizzi) - ed offrirgli di tornare ad esibirsi in un popolare programma tv. Quando finalmente lo troverà, non sarà semplice convincere l’uomo che si ritrova davanti precocemente invecchiato, ingrassato, con pochi capelli e senza nessuna voglia di tornare indietro e di lasciare il ristorante della sua ex moglie. 
Alla fine riuscirà a portarlo con sé a Roma. Una volta arrivati in città, l'Emissario accompagnerà Piero in un grande albergo del centro, dove incontrerà per la prima volta la superstar Talita Cortès (Belén Rodríguez) che gli cambierà la vita; in seguito, terrorizzato dall’agente che gli intima di farlo entrare in studio ad ogni costo, riuscirà a portarlo finalmente nel teatro da cui il programma andrà in onda.
La cosa interessante del mio personaggio, è vedere come alla fine si libererà del suo ingombrante capo, sino a proporre a Cicala, nel frattempo tornato al successo, di diventare un suo cliente: da allora in poi si intuisce che i due continueranno a collaborare insieme.

Fabrizio Buompastore con Totò Onnis
 Eugenio Cappuccio è un regista ‘chirurgico’: sebbene sia aperto alle eventuali modifiche ‘sul campo’, vuole vedere rappresentati in scena i quadri che ha dipinto nella sua testa, esattamente come li ha pensati. Per noi attori lavorare con lui significa impegnarsi, anche su tutta una serie di microsfaccettature dei personaggi, anche per quanto riguarda i ruoli minori che spesso vengono lasciati al caso: non ci può essere margine di errore neanche in un movimento di palpebra.
Emilio Solfrizzi ed io siamo entrambi di Bari, e proveniamo dallo stesso quartiere, Poggiofranco, ma non c’eravamo mai incontrati prima di questa occasione in cui abbiamo familiarizzato facilmente grazie ad un dialogo costante e sincero.
Devo dire che, a parte un paio di scene molto divertenti con Iaia Forte, attrice straordinaria, ho vissuto la lavorazione a pieno regime soprattutto con Emilio: mi ha fatto molto piacere costruire insieme a lui le varie situazioni, non solo quelle di parola ma anche quelle di pensiero, giorno dopo giorno e sera dopo sera. A Savelletri anche dopo le riprese “staccavamo” raramente… Recito da 12 anni, e non ho mai trovato grandi attori che avessero una disponibilità al confronto, simile a quella che Solfrizzi ha sempre: è un artista che ha un amore viscerale e istintivo per il proprio lavoro, e in questo caso credo che abbia sentito il suo personaggio in una maniera toccante e quasi dolorosa.

Fabrizio Buompastore con Iaia Forte ed Emilio Solfrizzi

martedì 29 marzo 2011

Iaia Forte racconta Marta

Marta è la moglie del protagonista Piero Cicala (Emilio Solfrizzi), la proprietaria del ristorante pugliese in cui lui lavora: un’ex cantante neomelodica napoletana che ha lasciato la professione per seguire suo marito, continuando con incessanti recriminazioni ad imputare a lui questa scelta.
È un personaggio molto bello perché tragicomico: è lei il vero “uomo di casa”, la capofamiglia, una donna energica e in qualche modo anche violenta che governa tutto e tutti, a cominciare dal suo uomo deluso, bevitore e leggermente depresso, che si dimostrerà capace di riaccogliere con amore dopo la sua incredibile avventura romana e americana, ritrovando con lui un rapporto finalmente pacificato.
In questo film abbiamo avuto la fortuna di interagire con una splendida “scuola pugliese” di attori, spesso di origine teatrale, in grado di “passare la palla” molto bene in scena; e quella anche di trovarci in un luogo splendido come Savelletri, dove il rapporto con il set si è rivelato molto piacevole, anche perché si mangiava benissimo.

In teatro recito quasi sempre testi e personaggi molto tragici. Al cinema, invece, mi piace “giocare” su altre corde: in genere mi sento a mio agio con le persone che mi corrispondono, e in questa occasione abbiamo trovato subito la dimensione giusta per rapportarci sia con Cappuccio sia con Solfrizzi; ho sentito con loro una corrispondenza non solo anagrafica, ma anche nel modo di percepire il nostro lavoro. Emilio Solfrizzi è un interprete finissimo: è stato facile “giocare” con lui in scena, sia per quanto riguarda la dimensione comica, sia per quella più drammatica e violenta. Eugenio Cappuccio si è formato come me, frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia, ma in anni diversi: ci conoscevamo da tempo, ma non avevamo mai lavorato insieme. Il set è l’elemento naturale di Eugenio, quello che gli è più affine: è un regista autorevole ma caldo; ha uno sguardo molto attento sugli attori; è molto interessato al lavoro sulla recitazione, e per un interprete è facile abbandonarsi con fiducia alla sua direzione.

lunedì 28 marzo 2011

Totò Onnis racconta Gianni Ciola

Interpreto Gianni Ciola, che ai nostri giorni è il barbiere del paese ed è il migliore amico del protagonista Piero Cicala (Emilio Solfrizzi): è una sorta di Frank Zappa di provincia coi baffoni, con la costante fissazione per la musica “metallica”, e il costante rimpianto dei bei tempi, quando c’erano i magnifici C.C.C. (Cicala, Ciola e la buonanima di Vito Corrente). Nel momento dell’improvvisa possibile rinascita artistica di Piero, Gianni intuirà le potenziali premesse per la propria neocarriera al suo seguito: lo spronerà con entusiasmo ad accettare l’invito al programma tv di vecchie glorie I migliori anni; grazie alla propria abilità di parrucchiere, sarà l’artefice del nuovo look ricco di extension e tinture destinato a caratterizzare il Cicala rinato…

La sceneggiatura del film era molto dettagliata: era tutto descritto e stabilito molto bene, anche se qualche volta Cappuccio e Solfrizzi decidevano qualche piccola modifica in corsa. Credo che si tratti di un bell’esempio di commedia a tutto tondo, raffinata, mai volgare, e potenzialmente godibile a vari livelli: uno di divertimento esplicito e un altro, più o meno subliminale, che rivela un’ineluttabile amarezza di fondo, uno specchio dei nostri tempi.
Ho trovato divertente il fatto che, alla fine della sua movimentata vicenda che lo porta prima a Roma e poi in America, il protagonista non si lasci sopraffare dalla tentazione di rincorrere ancora il suo sogno, ma decida di tornare in paese dai suoi amici decisamente maturato, dopo avere compiuto dei passi avanti come uomo. Di conseguenza, anche i suoi amici maturano con lui: arriva finalmente per tutti una sorta di presa di distanza dal mondo da copertina di rotocalco che tutti loro hanno sempre sognato; si intuisce che da allora in poi saranno pronti a suonare per il puro piacere di farlo, e non necessariamente per l’ambizione del successo ad ogni costo.

Il trio anni Ottanta Cicala, Ciola e Corrente

sabato 26 marzo 2011

Roberto De Francesco racconta Gustavo Bacelli

Il personaggio che interpreto, Gustavo Bacelli, è un giornalista specializzato in gossip e cronaca rosa e, come molti personaggi di questo genere di questi anni, usa nel suo mestiere molta perfidia e molta melensaggine: la prova di identità di persone simili è quella di occuparsi minuziosamente del nulla, per avere la prova di esistere.
Gustavo è una sorta di biografo al contrario che segue ovunque Talita (Belén Rodríguez), con una perizia maniacale da segugio: la provoca, la “sfotte”, la perseguita con domande insinuanti sui segreti della sua vita privata. Ma se da un lato critica e stigmatizza la condotta e le scelte della ragazza, dall'altro vive per lei e grazie a lei. Essendo lui un personaggio fastidioso che le sbuca davanti dovunque vada, Talita ha nei suoi confronti un atteggiamento di insofferenza ma anche di acquiescenza, perché comunque in qualche modo lui le serve, e fa il gioco della costruzione della sua identità di icona.
Nel costruire il personaggio con Eugenio Cappuccio, avevamo pensato di guardarlo con "serio divertimento", senza farlo diventare una macchietta: io l’ho considerato sempre con una certa simpatia, convinto che non fosse il caso di descriverlo nel suo cinismo bieco. Ho cercato di affrontarlo privilegiando il sorriso, sapendo che avrei dovuto muovermi all’interno di una commedia che ambisce ad essere sofisticata.
Eugenio è un grande regista di commedia, con un suo sguardo originale ed uno stile di costruzione dei film molto personale: in questa occasione, credo abbia privilegiato un certo deglutire amaro, uno sguardo di malinconia e un po’ di quella sana cattiveria che è in linea con la tradizione della nostra migliore commedia di costume. 





venerdì 25 marzo 2011

Francesca Faiella racconta Terry

Eugenio mi ha chiamata a fare il ruolo di Terry chiedendomi una trasformazione fisica importante: dovevo trovare una femminilità opposta alla mia e un' attitudine arcigna e silenziosa che mi è tanto lontana nella vita di tutti i giorni. Se ce l'avessi fatta il ruolo sarebbe stato mio. Come costruire un personaggio silenzioso e forte al fianco di una bella e prorompente Talita Cortes/Belen Rodriguez?
Ho subito pensato ad una signorina Rottenmeier del nuovo millennio con un bon ton internazionale da fashion victim molto snob. Ricordo durante le prove costumi un giorno di aver proposto ad Eugenio una Terry molto severa, in tenuta maschile ma con un fiammeggiante rossetto rosso sulla bocca e il suo netto rifiuto: "Niente! Niente fronzoli per te! Tutto ciò che luccica, che palpita è per Talita".
Lì tutto è stato chiaro ed è cominciato il mio divertimento sul set con un Eugenio soddisfatto e sempre più sornione pronto ad essere stupito dai più piccoli dettagli. Terry infatti non è la migliore amica di Talita ma neanche solo la sua segretaria, è qualcosa che sta nel mezzo: un assistente personale. Terry dunque è l'efficenza, il motore silenzioso onnipresente. Un "orologio svizzero" che organizza, istruisce. Protettiva ma anche un po' sarcastica ha per la sua star una devozione a pagamento, una stima particolare. Sicuramente è la prima fan di Talita e vuole che il successo della sua assistita diventi sempre più grande. Pensa solo ai suoi interessi e le da consigli cercando con ironia di orientarne le idee quando diventa evidente l'attenzione che Talita rivolge al rozzo e buffo Piero Cicala... Può Terry essere segretamente innamorata di Talita?


giovedì 24 marzo 2011

La cara, vecchia pellicola e l'emozione del digitale ad alta definizione

Eccoci qua. La lavorazione del film è quasi finita. Che cosa manca?
Non manca nulla perchè in questo momento Filippo Corticelli è impegnato come un sommergibilista che punta l'obiettivo a dare giusta forma ai colori del film e spremere al meglio dal supporto digitale l'immagine che andrà su pellicola.
E non manca la collaborazione di quanti stanno lavorando alacremente per riuscire nell'obiettivo dell'uscita del 15 aprile con gli amici di Medusa.
Sì, perchè ancora bisogna andare su pellicola, nonostante il film sia girato in elettronica ad alta definizione, nonostante il film sia un "file". Un processo complesso e delicato.
I cinema sono ancora attrezzati con i proiettori analogici, quelli identici ai magnifici scatoloni fumosi e bollenti, affascinantissimi, ai quali abbiamo legato il crescere del nostro immaginario, la cabina di proiezione.  il proiezionista...

  la "cabina" ieri/oggi

Macchine centenarie che presto lasceranno il posto ai meno emozionanti proiettori digitali ad alta definizione, che consumano meno, non fanno rumore, fumo, traggono i dati da uno scatolotto nero sigillato e comandato da un barcode, il DCP, programmato da un computer che ne tutela anche la inviolabilità, l'orario di proiezione...

proiettore Digital Cinema

Insomma, il film girato ha ancora il diritto-dovere di finire su celluloide per tutti quegli spazi, ancora numerosi, dove la tecnologia ancora non ha soppiantato il vecchio sistema. Ma il destino di quel processo è segnato.

  la "cabina" oggi/domani

Una volta corretto il colore dunque, il file-film viene "recordato" e scannerizzato per produrre un negativo, e da quello le copie per le sale analogiche, e se vogliamo così sancirne la quasi immortalità fisica. Contemporaneamente però per quei cinema forniti di Proiezione Cinema Digitale, il film finisce nello scatolotto nero e prenderà la sua strada per gli scenari che ho descritto. È meglio, è peggio, giusto, ingiusto. Non lo so, so solo che non è soltanto il futuro.
Il futuro è già presente e con questo film abbiamo davvero molto osato, provocato, sollecitato. Come ogni impresa unica, e che dà inizio ad un nuovo protocollo, le sorprese, le paure e anche le grandi soddisfazioni, non finiscono mai. Il tempo ti rincorre, come la necessità step by step di "surfare" i nuovi processi di produzione e postproduzione, inventandoti soluzioni mai applicate, scoprire escamotages.

canon D7 con trasmettitori

Girare con queste macchine fotografiche attrezzate come sapete, i "droni", come li battezzò la notte prima delle riprese del film lo stesso Corticelli tanto preoccupato quanto, da gran marinaio, eccitato all'idea di essere dei pionieri, non è stata un'impresa facile, e neppure tutta la postproduzione, con le sue novità tecniche e tecnologiche provocate dal nuovo sistema. Ma una cosa è certa: senza battere ciglio lo rifarei. La fotografia e la pasta di questo film me ne danno ragione credo... a voi giudicare quando lo vedrete.


Voglio ricordare che prima di questo ultimo passaggio, il materiale in alta definizione subisce la "color correction" presso i laboratori di CinecittàDigital e quindi il processo continua nel dipartimento Sviluppo e Stampa, dove si cura la realizzazione delle copie analogiche, le più familiari "pizze".

Cinecittà Digital

Ho passato due impegnative ma fantastiche settimane con gli amici della Fonoroma per il mix audio del film.

Fonoroma

Cioè il lavoro di messa insieme, equilibratura, definizione di tutte le componenti della colonna sonora, presa diretta (le voci degli attori), gli effetti (tutti i rumori che vengono enfatizzati e ricostruiti dal rumorista) e naturalmente le musiche.
In questa struttura storica, la Fonoroma appunto, sono nati film importantissimi.


Nella foto che vedete si esprime il meglio delle facce stanche dopo due settimane di sala mix! Ma anche soddisfatte per la fine del lavoro e la sensazione di aver fatto il massimo per il film, per dargli suono, voce, musica, colore acustico emozionante, reale, o fantastico che sia, per dare al film le ali.
Alla Fonoroma si dà forma e sostanza alla parte ultima del film, dal montaggio alla masterizzazione del suono definitivo del film, al doppiaggio. Là si respira, ancora, cinema, nonostante oramai la percentuale del "lavorato" sia a stragrande vantaggio della produzone televisiva, ma tant'è. Quando alla Fonoroma "entra" in lavorazione il film, e parliamo di film per il cinema, senti un'altra vibrazione attorno a te, senti la voglia di fare e dare al massimo che caratterizza il personale di questa storica cooperativa che ha fatto la storia dell'intrattenimento cinematografrico italiano. Vorrei ringraziarli tutti per quanto hanno fatto e fanno, a Cinecittà, alla Fonoroma, per questo film, e la lista sarebbe lunghissima.
Ci sentiamo prestissimo!
Cap

martedì 30 novembre 2010

Caro Maestro Monicelli...

Caro Maestro Monicelli,
qualche anno fa, durante le giornate del cinema italiano organizzate presso il Lincoln Centre a New York, ebbi la fortuna di passare con Lei un intero pomeriggio, passeggiando per le strade della Grande Mela, guardando gli americani, fermandoci in un paio di bar, facendo colazione insieme, scendendo da due taxi di indiani sik, fortuna che per me si concretizzò nel fatto che per qualche ora potei ascoltare le sue parole in intimità e confidenza da italiani in vacanza all'estero, con quel tanto di comico che fa sempre sentire appiccicato "l'estero" addosso a chi vi cade brancaleonescamente dentro. Inutile dire che fu un momento divertentissimo ed indimenticabile, e ovviamente istruttivo.
Maestro, l'ho sempre considerata uno degli uomini più importanti della storia del cinema di tutti i tempi.
Voglio dirle che mi ha sempre sorpreso immensamente per la sua schiettezza ed ironia, spesso divertito cinismo, su tutto quello che passandole davanti riusciva a "bloccare", fotografare, leggere al di là del banale, della convenzione, del moralismo, e della superficie di comodo, elaborare, riproporre con ironia, realizzando una vera e propria filosofia del vivere che non ha pari, sia umanamente che artisticamente, illuminando le cose con pura verità ed unica capacità di sguardo. Ciò che di Lei mi colpisce, è la fondamentale giustezza algebrica delle sue idee, dei suoi valori. E la totale mancanza di sovrastruttura nel giudizio, la sua trasparentissima capacità di non farsi prendere in giro prendendosi costantemente poco sul serio in quella disciplina sottile e raffinatissima dell'ironia ed autorinoia che solo i grandi possono mettere in campo con una abilità sapiente che viene dall'aver vissuto e fatto le cose e non nell' averle solo pensate, o per sentito dire, vissute tramite altri.
Non spreca le parole Monicelli, è sempre di una essenzialità romanica, dura, sana, umanissima, il suo occhio luminoso e profondo mi ha sempre rimandato sensazioni antiche e grandiose, di cinema e di vita ed anche di eroismo, una cifra che ha manifestato, checchè qualcuno verrà a dirci, fino all'ultimo respiro.
Grazie Maestro, forse lei, come già fece a New York, mi sbeffeggerebbe per il titolo che uso rivolgendomi a lei, intimadomi di chiamarla Mario, ma non saprei cos'altro fare per riferirmi a lei in questo momento doloroso, e a lei sento di dover sin d'ora dedicare col cuore questo film che sto realizzando, perchè nessuno di noi che l' ha conosciuta, vista, ascoltata, letta, non può, amandola, seguendola idealmente, non sentirsi figlio suo, figli di un padre che vive sempre in noi per quanto scrisse, girò e raccontò, sullo schermo, sui giornali, in quelle passeggiate indimenticabili nell'animo umano che furono le sue opere ed il suo impegno.
Mi mancherà immensamente, ma in questo difficile momento credo che il suo esempio potrà davvero diventare la bussola che la nostra Cultura sta cercando.

Con affetto.

Eugenio Cappuccio

lunedì 29 novembre 2010

Le riprese sono (quasi) finite!

Gian Filippo Corticelli, Eugenio Cappuccio e Pietro
Le riprese sono finite, restano dei fegatelli, come si suol dire in gergo cine-norcino, cioè pezzetti, frattaglie da girare, che si realizzano a fine film o a montaggio avanzato e che concludono la pietanza. Un foglio su una porta con un messaggio, una bottiglia di profumo che prende fuoco, dettagli...
Poi ci sono anche dei filetti, uno sfondo da girare negli Stati Uniti da mettere in cromakey dietro i vetri di una vettura, un paesaggio romantico da sistemare dietro Solfrizzi e Belèn. Ma il grosso, il vitello grasso, è ormai stato ucciso e i cuochi del montaggio lo stanno preparando per il forno.
Scrivo questo post con la sensazione del navigatore che torna a terra dopo mesi, ed un certo senso di mal di terra inevitabilmente mi assale. Sento ancora le oscillazioni e tensioni delle onde che mandano avanti la barca-film. Il lavoro va avanti, ma adesso si tratta di organizzare e montare le cose ammucchiate nei magazzini del porto, perchè il nuovo battello che verrà varato sia in grado di vincere l'ultima e più importante traversata, quella verso il pubblico.
Ringrazio tutti per l'aiuto e l'equipaggio che con protervia e professionalità marinare hanno condotto la barca sin qua.
Vado a farmi una frittura a questo punto, mi è venuta fame... peccato non essere a Savelletri!

P.S.
Di volta in volta vi segnalerò dei siti che parlano del film che mi sono piaciuti.

A prestissimo e seguiteci, che l'avventura è appena cominciata!
Intanto però voglio pubblicare delle foto di mio figlio Pietro che è venuto a darmi qualche consiglio mentre giravo a Savelletri, scattate dal nostro bravo fotografo di scena Andrea Catoni.
Ricordo a tutti anche il mio sito che tra un po' si riempirà di contenuti su questo film:

Cap

Gian Filippo Corticelli, Pietro e Paola Rota

martedì 16 novembre 2010

Girevole notte...


Ieri notte abbiamo girato l'arrivo di Talita ubriaca con il suo codazzo di nottambuli che la segue e una folla di fotografi tenuti a bada dalle transenne la investe di flash. "Rifaremo" la scena in postproduzione perché con queste macchine (Canon D7) la scansione fa vedere mezzo fotogramma illuminato e il resto no, limiti dell'elettronica...
Piero Cicala, sbronzo e con la sigaretta appesa al labbro, la guarda, schiacciato sul muro accanto alla porta di cristallo girevole, ospite dell'hotel e dunque al di là delle transenne, come un naufrago divertito dalla caciara. Stravolto dalla prova data a "I Migliori Anni", dove ha ricantato "Io, te e il mare".
Una delle guardie del corpo di Talita Cortès, un ragazzo cubano atletico, nota Cicala, teme che sia un disturbatore e quando vede che Piero sta anticipando l'ingresso di Talita nel rondò dell'Exedra, lo placca; ne nasce quasi una colluttazione. Talita se ne accorge: dentro le porte girevoli vede Piero, Pero, come lo chiama lei... allora riesce, ride, gli si butta addosso, cadono per terra, Cicala incredulo e ruzzolante non capisce più niente... lei si rialza, gli dice che lo ha visto in TV, che è stato bravissimo e gli stampa un bacio in bocca che raccoglie una raffica "gossipara" di flash... Cicala sempre più stordito è come un fasello tra le onde dell'Oceano Cortès!
Una scena MOLTO articolata!
Ciao, a presto. Cap

Talita Cortès (Bélen Rodriguez) e Piero Cicala (Emilio Solfrizzi)

mercoledì 10 novembre 2010

Girare al chiuso


Mi piace girare all'aperto. Lo confesso.
Mi piace la linea di fuga, il paesaggio che contiene uomini, cose, natura. Vasto, senza angoli e blocchi. Nubi, mare, sabbia, vento. La macchina da presa si muove con un senso di "gloria".
La luce determina col suo corso naturale un atteggiamento sano nei confronti della storia, il sole nasce, sale, punta lo zenit, si muove, cala, sparisce, l'allegoria della vita che rappresenta s’impressiona nei supporti che registrano, nelle voci, nelle ombre che mutano naturalmente, negli occhi di tutti, davanti e dietro la macchina fotografica da presa.
Ora siamo a Roma.
Giriamo all'interno dell'Hotel Exedra, che con grande cordialità ci sta ospitando in questi giorni per raccontare tutta la parte del passaggio di Piero Cicala per le lussuose camere e i suntuosi ambienti di un mondo che non conosce più, remoto, misterioso quasi, premio per la sua accettazione della sfida canora, dopo trent'anni di silenzio.
Ed io con lui e la mia troupe all'interno di quelle pareti antiche, mirabilmente eleganti e piene di stucchi, calde luci che s’innalzano e spandono su marmi, ori, in un fiorire di forme liberty, di neoclassiche fughe.
Dalle finestre delle camere e dei corridoi in cui Bélen ed Emilio si seguono, inseguono, conoscono e scrutano, filtra incessante il respiro della metropoli, e la pioggia batte le distese di vetture in coda che da quassù ci sembrano ancora più insensate galere.
Mi piace girare all'aperto, ma sento che qua dentro si sta formando il cuore del film. 
L'Exedra: è interessante leggere cosa dice Wikipedia al termine "esedra":

In architettura, un'esedra è un incavo semicircolare, sovrastato da una semicupola, posto spesso sulla facciata di un palazzo (ma usato come apertura in una parete interna).
Il significato greco originale (un sedile all'esterno della porta) afferiva a una stanza che si apre su un portico, circondata tutt'intorno da banchi di pietra alti e ricurvi: un ambiente aperto destinato a luogo di ritrovo e conversazione filosofica. Un'esedra può anche risaltare da uno spazio vuoto ricurvo in un colonnato, magari con una sede semicircolare.
L'esedra fu adottata dai Romani, per poi affermarsi in epoche storiche successive (a partire dall'architettura romanica e da quella bizantina).

Ambiente aperto destinato a luogo di ritrovo e conversazione filosofica... non so se i nostri protagonisti parleranno proprio di filosofia... no, non credo, ma certamente ben calza l'esedra con l'idea di un luogo di ritrovo e incontro, e di confronto e conoscenza, i momenti in cui Talita (Bélen) e Piero (Solfrizzi) impattano vicendevolmente nel mondo e il destino che si portano dietro.
E allora quest’auspicio e coincidenza mi consola per il lavoro al chiuso, e spero che la circolarità del senso che nella storia in questa fase sto cercando di raggiungere, qui ci sorrida alla sesta settimana di lavorazione di questo film.

venerdì 5 novembre 2010

Il primo giorno con Belen Rodriguez

Che dire? È stata una bella giornata! Confesso che ero piuttosto teso, anche se la situazione non mancava di offrire certi spunti che facevano sperare in una sessione di riprese stimolante e assolutamente costruita per coniugare le mie istanze e l'entrata in scena di Bélen Rodriguez.
Siamo sempre a Cinecittà 3, un luogo ideale per lavorare, davanti al "grande verde", un sontuoso green-back contro il quale l'immaginazione può scatenarsi. Il green-back è davvero come lo schermo cinematografico assoluto. È la superficie su cui proiettare l'immaginabile e con la magia dell'intarsio proporre nuovi mondi, e nuovi modi di fare cinema.
Non è sicuramente una cosa nuova, ma è nuovo di sicuro il livello dei risultati che la tecnica di ripresa digitale ad alta definizione è in grado di trarre da quella sovrapposizione di realtà reale, gli oggetti ripresi davanti al "verde", e realtà virtuale, ciò che riempirà il "vuoto" verde, dando illusione e contemporaneamente senso a quanto messo in scena senza fondale, realtà tangibile, cose, materia.
Siamo nel regno dell'immateriale e, paradosso, in quell'immateriale ho fatto muovere Bélen, con la sua presenza prorompente.
Abbiamo girato uno spot di un profumo. Un profumo inventato per il nostro film, dal nome forse scontato "Talita's Secret". Il segreto di Talita, il personaggio dell'icona mondiale multimediale che Bélen incarna in questo film, a Roma, appunto, per presentare il prodotto. È un filmato che vedremo sparso nel film, nei televisori che incroceremo e che rimanderanno la bellezza della sua "testimonial" e la singolarità dell'ambientazione. La bella testimonial è naturalmente Bélen, la singolarità dell'ambientazione è data da un mondo di fuoco e magma nel quale la donna si muove, passando attraverso una serie di monoliti pronti a emanare la loro magia, fino all'eruzione di un profumo, il Talita's Secret appunto.
Bélen è stata perfetta in quei suoi viaggi attraverso le quinte di pietra, fino all'ultimo monolite che, toccato dalle sue mani, rimanderà in un lampo la produzione del profumo. Si muove come una splendida onda tra le lastre nere nel suo vestito color oro e con un trucco ed acconciatura ipnotici, nei quali prende luce una sorta di fiamma dorata che le parte dal collo fino a infrangersi nel movimento fortissimo dei capelli.
Bélen in questo film la vedrete come mai l'avete vista prima. E sarà un grandissimo valore aggiunto, credo!

Bélen Rodriguez con Eugenio Cappuccio